Prefazione
Un libro importante, culturalmente e politicamente. Ci parla della nostra storia, di quanto è accaduto quando il Veneto è stato annesso all'Italia. Ci narra quel che è veramente successo, oltre ogni descrizione
oleografica, falsa e falsata per motivi politici. Noi tutti sappiamo che l’unificazione del paese è stata più imposta che voluta. Che è arrivata sulla punta delle baionette dell'esercito piemontese, che molti plebisciti sono stati manipolati, che nel 1843 la maggioranza dei veneti si è battuta contro l’Austria in nome di San Marco; che addirittura, dopo la vittoria di Lissa, sulle navi austroungariche, dove quadri e marinai erano in gran parte veneti istriani e dalmati e quindi provenivano da territori appartenuti alla
Repubblica di Venezia, si gridò "viva San Marco". Sappiamo anche, purtroppo, che una ricostruzione di parte della storia è stata poi travisata nei libri di scuola ed è stata imposta alle nuove generazioni. Oggi, dopo oltre un secolo e mezzo, è nostro dovere ricostruire la storia della regione un cui viviamo o siamo nati. Qualcuno ha detto che nella storia, se le radici sono nel passato, se il presente è il tronco dell'albero, il futuro è nelle sue foglie. Pensare il futuro del Veneto, anzi del Triveneto, significa dunque e anzitutto esplorarne le radici, lontane e più recenti. Questa regione, contrariamente ad altre, possiede una sua lingua, che è stata lingua franca e internazionale per
secoli, almeno nel Mediterraneo orientale. E’ l'unico dialetto-lingua parlato fuori d'Italia in regioni abbastanza vaste e in Stati diversi. Dunque si tratta di un popolo con una forte
identità, e fa bene Beggiato a cercare di capire nel suo libro, perché questo popolo ad un certo punto ha abdicato e alla fine accettato di essere parte dell’Italia unita. Ma ha accettato o subito l'Unità? A partire dal 1866 il governo centrale ha sistematicamente combattuto, non soltanto nel Veneto ma in ogni regione d'Italia, le identità regionali. Le resistenze sono state modeste, ogni lingua e cultura si è inchinata di fronte al prevalere del toscano, chiamato italiano, insegnato e imposto a scuola, dove chi parlava la sua lingua regionale veniva punito, spesso ridicolizzato.
Naturalmente, alcune lingue che erano state utilizzate nell’ambito di stati regionali hanno resistito meglio e più a lungo al tentativo di cancellarle. Pensiamo al napoletano, al siciliano, al veneto. Comunque, è un fatto che molti popoli nello spazio di un secolo hanno dimenticato la loro identità, la loro lingua, la loro cultura, anche perché hanno cancellato dalla memoria la propria storia. Questo è successo, almeno in parte, anche nel Triveneto. E non parliamo di Nordest, per favore, non utilizziamo questo neologismo povero e incolore!
È giunto il momento di riacquistare la memoria. A questo scopo dobbiamo fare un paziente lavoro di certosini, riscrivere la storia, reintrodurre, affinché non muoia, l’insegnamento della lingua veneta, dopo avere approntato delle grammatiche standardizzate e pubblicato dei vocabolari. Ma tutto questo, ripeto, deve accompagnarsi ad una riscoperta della storia, ed è appunto quanto fa, in queste pagine Ettore Beggiato.
Questo significa essere contro l’Unità del paese? Certamente no. Per quel che mi riguarda sono federalista ma anche europeista convinto.
Dunque, Stati Uniti d’Europa, una seconda camera delle regioni i cui rappresentanti siano eletti direttamente dalle regioni d'Europa, l'insegnamento obbligatorio dell’inglese in tutta l’Unione europea e delle lingue regionali nelle regioni che ne posseggono una.
Per l'Italia anche una struttura federale degna di questo nome.
Sabino Acquaviva |
INTRODUZIONE
Credo sia importante riproporre la questione dell’annessione del Veneto all’Italia (ovvero del plebiscito – truffa del 1866): un momento fondamentale della nostra storia che abbiamo il diritto-dovere di rileggere.
Rileggere e riscrivere.
Perché la storia la fanno i popoli, ma sono i vincitori a scriverla.
E mai come questa volta, i vincitori che stanno a Roma si sono applicati scrupolosamente e scientificamente per stravolgerla, mistificarla, nasconderla, la storia.
I Veneti non dovevano, e non debbono, conoscere questa pagina fondamentale della loro storia.
"Tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia", così sta scritto nei (loro) libri di storia.
Va innanzitutto sottolineato come le potenze europee intendevano riconoscere, attraverso il plebiscito, al Popolo Veneto il diritto di scegliere il proprio futuro, il diritto all’autodeterminazione si direbbe oggi.
Un principio, un diritto riconosciuto dai trattati internazionali come "diritto umano".
Ed è ormai universalmente riconosciuto il primato dei diritti umani rispetto ai diritti degli stati.
Diritto all’autodeterminazione che ha una valenza permanente: vale a dire che finchè c’è un popolo, quel popolo ha sempre il diritto all’autodeterminazione.
L’altro aspetto centrale della questione è quello che potremmo chiamare "temporaneità".
Quella che, come Veneti, stiamo vivendo dal 22 ottobre 1866 è solamente una parentesi nella nostra storia plurimillenaria.
Cosa sono centotrentatre anni di presenza italiana nel Veneto di fronte ai secoli di storia e di indipendenza Veneta?
Oltre a questo va ricordato come gli anni della presenza italiana siano caratterizzati da tutta una serie di tentativi di riproporre la "questione veneta". E questo sia nel secolo scorso, che nell’attuale.
Vediamo alcuni momenti recenti:
1970, nascono le regioni e il nostro statuto è l’unico nel quale compare il concetto di popolo, nell’art. 2 si parla di autogoverno del popolo veneto: questo viene ratificato anche dal Parlamento italiano ed è legge dello stato italiano, la n. 340 del 1971;
1983, elezioni politiche del 26 giugno.
Per la prima volta in una regione a statuto ordinario una forza politica autonomista riesce a fare eleggere due rappresentanti al Parlamento italiano: è la Liga Veneta.
Sono ancora una volta i veneti i primi ad alzare la testa contro lo stato italiano;
1997, il 9 maggio otto "Serenissimi" liberano il campanile di S. Marco e issano la bandiera veneta. Un gesto e un sacrificio determinanti a far risvegliare nel popolo veneto la coscienza della propria identità e dei propri diritti;
1998, il 22 aprile il Consiglio regionale del Veneto approva la risoluzione sul diritto all’autodeterminazione.
In tutta la nostra storia noi veneti abbiamo sempre lottato per la nostra autonomia, per il nostro autogoverno, per la nostra autodeterminazione.
Da sempre si guarda, anche tra gli uomini più potenti, con rispetto e ammirazione, con timore al nostro simbolo, al Leone di S. Marco.
A quel simbolo, e Napoleone l’aveva capito benissimo, che è molto di più di una bandiera, quel simbolo che ha una dimensione visibile, materiale, facilmente riconoscibile e un’altra invisibile,
irraggiungibile, imperscrutabile, che sfugge a qualsiasi tentativo di interpretazione, di controllo, di cattura …….
Paolo Rumiz ne "La secessione leggera" scrive a proposito dei Serenissimi:
"Così si continuò a non capire che cosa aveva spaventato lo stato. Eppure la bandiera piantata sul campanile forniva già la risposta.
Era un simbolo, il segreto stava lì. Il commando si era servito della più invisibile e immateriale delle armi"
Il simbolo Veneto che ritorna ……..
Un’ultima considerazione.
Io credo che la nostra generazione abbia il dovere di impegnarsi a fondo nel recupero, nella riappropriazione della nostra storia, della nostra identità, del nostro esser Veneti.
E’ fondamentale, prima che certe testimonianze vadano perse, prima che il processo orwelliano portato avanti dal regime nazional tricolore cancelli tutto, prima che ci facciano diventare tutti italiani (siamo comunque ben lontani da una simile, aberrante "soluzione finale"), attivarci tutti per costruire un "Archivio della storia vista dalla parte dei Veneti".
Anche così potremmo portare il nostro contributo affinché la bandiera veneta possa tornar a sventolare, sola e indisturbata, nella nostra terra.
Viva S. Marco!
Ettore Beggiato
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