Mi trovavo, qualche tempo fa, a Trieste e uscendo
da quello splendido caffè mitteleuropeo che si chiama «San Marco»
sono capitato in una libreria slovena. La mia attenzione si posò su
un volume con titolo sbalorditivo anche per un venetista convinto come
il sottoscritto: «I veneti - Progenitori dell'uomo europeo». Gli
autori sono tre storici e linguisti sloveni: Josko Savli, Matej Bor,
Ivan Tomazic.
Avevo più volte sentito parlare di questo volume che ha suscitato un
notevole interesse nel mondo slavo; interesse, per la verità e
polemiche piuttosto vivaci. Gli autori infatti sostengono che gli
sloveni non appartengono al gruppo degli slavi meridionali bensì a
quella matrice che fa riferimento all'antico popolo dei veneti.
Praticamente introvabile era ed è il volume nel Veneto: è veramente
incomprensibile come un'opera incentrata sulla storia, sulle origini
dei Veneti non abbia un minimo di diffusione nella nostra regione.
Certo, un volume sui Veneti (o Paleoveneti o Veneti antichi) non potrà
rappresentare un best seller, ma fortunatamente sta aumentando il
numero di coloro che vogliono conoscere un po' di più da vicino
questa civiltà, questo popolo che ha dato il nome alla nostra regione
e dal quale discendiamo.
«Se c'è una regione dell'Italia antica nella quale sia evidente la
coincidenza di popolo, di cultura e di territorio, questa è il
Veneto... tutto coincide: il popolo dei Veneti, la cultura che da loro
prende il nome, il territorio che è sostanzialmente lo stesso ancora
oggi»: così sostiene l'autorevolissimo Sabatino Moscati su «L'Espresso»
del 15 dicembre 1985. Non c'è stato insomma solo l'impero romano nel
passato dei Veneti, anzi; e nei nostri libri di scuola si dovrebbe
parlare oltre che delle oche del Campidoglio anche dalla dea Reitia
(la divinità adorata dai Veneti), della via dell'ambra, dei
castellieri.
E un passaggio nella prefazione del libro scritta da uno degli autori,
il prof. Ivan Tomazic, è estremamente significativo (si riferisce
alla civiltà lusaziana, cultura sviluppatasi a partire dal XII secolo
a.C. nella regione di Lusazia ai confini fra la Germania e la
Polonia):
«Ma chi furono i portatori della civiltà di Lusazia e di quella dei
campi d'urne che dalla lusaziana fu la derivazione e continuazione?
Porsi questa domanda significa chiedersi quale fu il primo popolo
dell'Europa centrale o forse dell'intera Europa, un popolo cioè
dotato di un'evoluta organizzazione sociale non più strutturata su
basi tribali. Fino all'ultima guerra gli studiosi identificavano
questo popolo con i proto-Illiri. Le più recenti acquisizioni della
storiografia dell'archeologia, della toponomastica e della linguistica
testimoniano invece a favore di un'identificazione con il popolo dei
Veneti antichi, una parte del quale si conservò fino all'arrivo dei
Romani nell'area dell'alto Adriatico, in quella regione - il Veneto -
che ancor oggi porta il loro nome. Ma che cosa si sa di questo popolo,
quali sono le prove che ci permettono di affermare che furono proprio
i Veneti a occupare l'Europa come portatori della civiltà dei campi
d'urne e infine quali tracce rimangono di questo popolo e dei suoi
discendenti? Su tutte queste questioni ha gravato finora un «non
luogo a procedere», una specie di tabù che si spiega col fatto che
il popolo preistorico dei Veneti non era inseribile in nessuna delle
ideologie nazionalistiche che a lungo hanno condizionato la
storiografia moderna. Il nostro lavoro si propone di rimuovere questa
barriera e di offrire una visione più spassionata e chiara della
preistoria e della storia dell'Europa».
Il volume è il primo che pone in una luce completamente nuova la
presenza dei Veneti nell'antichità, rivoluzionando le tradizionali
teorie, spiegando come in quell'epoca essi abbiano avuto un ruolo di
primo piano nel modellare la civiltà europea assieme all'entità
greco-latina.
Questo libro dovrebbe quindi scuotere l'assopito mondo culturale e
scientifico italiani da sempre poco propenso a riconoscere
nell'antichità spazio all'esistenza di civiltà diverse da quella
latina.
E soprattutto può essere un ulteriore momento di contrapposizione
alla logica massificante e standardizzante «un popolo, una lingua,
una storia» che si sta tentando di imporre in Italia quando invece
all'interno dello Stato ci furono e ci sono «più popoli, più
lingue, più storie».