E’ USCITO IL NUOVO LIBRO DI ETTORE BEGGIATO:
“1809: l’insorgenza veneta.
La lotta contro Napoleone nella Terra di San Marco”
Editrice Veneta – Vicenza  

Presentazione dell’avv. Ivone Cacciavillani

L’Autore che, completata la stesura d’un libro, ne chiede a taluno la “presentazione”, si rivolge generalmente, tra i conoscenti, a chi pensa sia in consonanza con le tesi enunciate, confidando in una specie di loro avallo presso i lettori. Beggiato sulla piena consonanza ha certo indovinato, anche se su un solo punto debbo dissentire: Egli deve per coerenza e chiarezza menzionare spesso quel personaggio che tra gente dabbene non dovrebbe mai venire nominato, come una parola sconcia. Nei miei libri, quando devo parlarne, uso sempre una I. maiuscola puntata ed in nota in calce preciso che quella I. può significare Imperatore per gli ammiratori, Infame per i molti altri. Qui Beggiato deve necessariamente chiamarlo per nome, ma resta sempre e solo un I.
Ha un merito enorme questo libro, che più che di storia dovrebbe essere definito di cronaca: quel giorno per giorno di rivolte paesane indice d’un “troppo pieno” di sopportazione che straripa qua e là per il Veneto, con una distribuzione geografica a macchia di leopardo che la dice tutta sulla generalità dell’insoddisfazione. Se ci fossero stati giornali che avessero avuto il coraggio di pubblicare anche cose non gradite “al Palazzo” questi sarebbero stati fatti di cronaca giornalistica ed allora i rivoltosi, che erano per lo più dei renitenti alla leva per nulla anelanti ad andar a morire nelle gloriose armate dell’I., probabilmente sarebbero stati definiti “ribelli”. Erano sostanzialmente dei poveracci senza più nulla da perdere per avere già perso (o essergli stato tolto) tutto; ora probabilmente li si chiamerebbe partigiani; allora andavano per briganti, che dava l’idea del grassatore con un misto peraltro di ammirazione per il coraggio e la spregiudicatezza; ma inoltrandosi per questa strada c’è il rischio di sconfinare nella sociologia storica …
Un punto della Sua Introduzione merita di essere ripreso con qualche considerazione per l’alto valore “ideologico”: il rancore per il silenzio degli Storici, per la latitanza delle  “Università italiane nel Veneto”, detto come antitesi a Università Venete, che secondo Beggiato, latitano del tutto. In questa storia “dal basso”, dal lato della povera gente che non fa mai storia, perché, secondo una certa moda “culturale”, la storia deve occuparsi solo di guerre, di battaglie, di conquiste: i fatti dei “grandi”. Condivisibile il rilievo, ma ci si deve chiedere il perché di questa moda perversa. Ed il perché sta proprio nella mancanza dell’anello cronachistico.
L’interesse alla ricerca storica nasce dall’interesse alla lettura. L’interesse alla lettura nasce dalla voglia di saperne di più; il passaggio dai fatti di cronaca alla storia dei fatti passa attraverso l’opera ora del giornalista; per i tempi andati, quando i giornali o non c’erano o non venivano letti (nel contado), dalla cronachistica: i libri di fatti di cronaca come passaggio ai libri di storia. 
Bene fa Beggiato, sempre nell’Introduzione, ad avvicinare le rivolte diffuse del 1809 contro l’I. a quella del 1848 contro l’Austriaco; figlie dello stesso disagio e della miseria imperante.
La grande differenza sta nel fatto che nel 1809 non c’era un Daniele Manin ad incanalare la protesta e a farne fatto politico. Effimera quella del ‘48, ma infinitamente più efficace di quella del ‘09. Resta un grande deficit di storia nel nostro Veneto; difficilmente spiegabile. Forse la spiegazione più convincente la dà ancora Daniele Manin, nella descrizione dell’assetto costituzionale della Serenissima, in una monumentale opera collettanea del 1847: la ravvisò nell’eccesso di autonomia lasciata dalla Repubblica di San Marco alle Terre dei suoi Domini: un’autonomia che diventò particolarismo e localismo; incapaci i Veneti di guardare ad una Patria, oltre l’ombra breve del campanile.
Ed allora ben vengano questi libri di cronaca, che, raccontando le vicende dei campanili, riescono a creare una comunità d’interessi che forse è proprio quel connettivo che manca alla nostra cultura di base. Finisce che occorre dir grazie ad un Beggiato che, andando per campanili, finisce per fare del vero federalismo culturale.

C’è una  grande opportunità con il 2009, con il duecentesimo anniversario dell’insorgenza veneta.

Sta a tutti noi diventare protagonisti nel processo di riappropriazione della nostra storia e della nostra identità.

Riappropriamoci del 1809!

 

E oggi come allora “Viva San Marco!”

 

Ettore Beggiato

 

 

 

 

 

 

 

Il libro (222 pagine, 15 euro) può essere richiesto alla casa editrice www.editriceveneta.it

 

A Raixe Venete www.raixevenete.net

 

All’autore bejato@hotmail.com

                                                                                  

INTRODUZIONE: Banditi o patrioti veneti ?

Giuseppe Boerio nel suo “Dizionario del dialetto veneziano” stampato a Venezia nel 1856 parla dei “briganti” in questi termini: “Con tale nome erano comunemente chiamati nell’anno 1809 coloro che nelle varie nostre provincie si sollevarono”;  lo storico  trentino Aldo Bertoluzza anticipa l’utilizzo del termine, almeno per quanto riguarda il Veneto, al 1797: “La denominazione di briganti che verrà riportata da gran parte degli storici risale al mese di aprile 1797, quando avvenne l’emigrazione nel Trentino di fuoriusciti veneti antifrancesi e la formazione di quei primi nuclei che Napoleone stesso battezzava briganti, e che diventeranno poi gli affiancatori dei malcontenti tirolesi e di Andreas Hofer nel 1809” Attraverso il concetto di “brigante” si tentava, e si tenta, di screditare chi lottava comunque per un’idea, per difendere la propria terra, la propria casa, la propria tradizione. E così “briganti” furono tutti coloro che in tantissimi comunità della penisola italiana resistettero alle orde napoleoniche e giacobine, “briganti” furono chiamati i Vandeani che pagarono con il sangue la difesa della loro identità, “briganti” divennero più tardi coloro che si ribellavano nei confronti dei “liberatori” sabaudi e che vedevano i loro paesi rasi al suolo da certi figuri che ora campeggiano nelle nostre piazze. L’insorgenza del 1809 assume il carattere di una vera e propria ribellione contro il conquistatore, contro l’Infame Napoleone.  Si può certamente parlare di una  guerra di liberazione contro l’invasore straniero e i suoi collaborazionisti locali (i giacobini veneti) in un contesto che assume una caratteristica europea e che parte dalla Vandea tocca il Tirolo incendia la Spagna e coinvolge, in forme diverse, l’intero continente Da una parte  i popoli decisi a difendere la loro terra, la loro storia, le loro tradizioni dall’altra Napoleone e i suoi alleati; da una parte la difesa della propria religiosità dall’altra l’offensiva del laicismo; da una parte le “piccole patrie”  dall’altra l’espansionismo francese, da una parte la battaglia autonomista dall’altra il centralismo più ottuso e rapace che affama la nostra gente con nuove tasse particolarmente odiose come quella sul macinato..  Si calcola che dal 1796 al 1815 le varie insorgenze coinvolsero nella sola penisola italiana più di 300.000 persone; sicuramente ne morirono più di centomila. Ed anche nel nostro Veneto ci sono numeri impressionanti che testimoniano una partecipazione straordinaria: ad Orgiano piccolo centro del bassovicentino, fonti della polizia parlano di quindicimila persone in piazza, ma sono le piazze dell’intero Veneto ad infiammarsi, sono i campanili delle nostre comunità che diventano il simbolo della rivolta (non ci avevo mai pensato: dalle campane a martello del 1809 al campanile di San Marco dei Serenissimi del maggio 1997…..).  Una sollevazione straordinaria come partecipazione, come coinvolgimento generale dell’intera popolazione, interclassista si direbbe oggi (altro che rivoluzione degli straccioni!), come riaffermazione della propria identità veneta e come lotta per riconquistare la libertà perduta (la bandiera con il leone di San Marco sventola in tante piazze e a Schio viene anche insediato un Governo Veneto…) alla quale si reagisce con brutalità impressionante con centinaia e centinaia di patrioti veneti fucilati e impiccati; certo, ci fu anche chi si dedicò alla razzia: ma fu comunque una esigua minoranza. Sicuramente mancò la capacità “politica”, mancarono i capi, non certo l’ardore e l’eroismo della nostra gente. Ma  tutto questo nei libri della scuola italiana non compare e nella pubblicistica del “regime” viene censurato o minimizzato. E d’altra parte basta pensare a chi “controlla” le università venete, o meglio le università italiane nel Veneto per rendersi conto di come la storia veneta sia ostaggio di logiche e di “culture” estranee alla nostra terra e al nostro popolo. Possiamo chiedere a questi “storici” sfornati dalle università italiane del Veneto come mai in Spagna gli insorti antinapoleonici vengono considerati degli eroi, immortalati nel famoso  quadro di  Fransisco Goya,  e nella nostra terra veneta gli stessi insorti antinapoleonici vengono ignorati o trattati come delinquenti comuni?  Ed è la stessa storiografia che continua a presentare il Veneto polentone, abituato a dire “comandi!” a chiunque passi per questa terra. Nulla di più sbagliato! Il nostro popolo ha sempre lottato per riacquistare la propria sovranità, la propria libertà. C’è un filo rosso (o meglio azzurro che è il colore nazionale di noi veneti) che unisce tante pagine della nostra storia nelle quali è costante la lotta del nostro popolo per l’autonomia, per l’autogoverno.
Vediamole, schematicamente e senza pretesa di completezza.

1)    Nel 1797 i Veneti lottano strenuamente per difendere la Serenissima. Eroica la difesa dei veronesi durante le “Pasque” ma in tutto il Veneto ci sono manifestazioni di fedeltà alla Repubblica di San Marco e di resistenza contro i francesi;

2)     Nel 1809 i Veneti, come vedremo, insorgono contro Napoleone

3)    Nel 1848, il 22 marzo inizia la grande rivoluzione veneta; viene ricostituita la Repubblica Veneta e Venezia sarà l’ultima città d’Europa a cadere, il 23 agosto 1849, sotto l’impressionante offensiva dell’esercito asburgico. Per le cinque giornate cinque di Milano ci sono interi scaffali di volumi,  un anno e mezzo di indipendenza veneta viene sistematicamente ignorata. Dieci anni dopo Napoleone III propone a Francesco Giuseppe di assimilare la questione veneta a quella del Lussemburgo. Nel 1866 attraverso un plebiscito-truffa il Veneto viene annesso all’Italia.

4)    Nel 1920 subito dopo la fine della grande guerra quasi interamente combattuta nel nostro Veneto e che ha portato  lutti, tragedie e disperazione a non finire,     Luigi Luzzatti, già presidente del Consiglio dei Ministri, profondo conoscitore della nostra gente, scrive al suo successore Vittorio Emanuele Orlando il 7 febbraio 1919 del timore che  potesse sorgere 'un'Irlanda Veneta, mutando i paesi più patriottici e più sobri nel chiedere, in ribelli della disperazione  e il prefetto di Treviso segnala al Ministero la possibilità che nel Trevigiano si crei un movimento separatista tendente a staccare il Veneto dall'Italia.

E Guido Bergamo parlamentare trevigiano scrive 'Il governo centrale di Roma, questo governo di filibustieri, di ladri e camorristi organizzati, non si accorgerà di noi se non ci decideremo a far da noi e ancora 'Ora basta! Il problema veneto è così acuto che noi da oggi predicheremo la ribellione dei veneti. Cittadini, non paghiamo le tasse, non riconosciamo il governo centrale di Roma, cacciamo via i prefetti, tratteniamo l'ammontare delle imposte dirette nel Veneto.

5) Nel 1945, nell’immediato dopoguerra  il ministro dell’interno chiede informazioni alla prefettura di Venezia su “persone che tendano ad una autonomia integrale del Veneto e alla costituzione di una Repubblica di San Marco”

6) Nel 1970 nascono le regioni e il Veneto è l’unica regione che si da uno statuto nel quale si parla di “popolo”: l’articolo due recita: “L’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”

7) Nel 1983 alle elezioni politiche per la prima volta in una regione a statuto ordinario una forza politica autonomista riesce a far eleggere due rappresentanti al parlamento italiano: è la Liga Veneta, la madre di tutte le leghe.

8) Nel 1997, il 9 maggio otto “serenissimi” si impossessano del campanile di S. Marco e issano la bandiera veneta. Un gesto e un sacrificio determinanti a far risvegliare nel popolo veneto la coscienza della propria identità e dei propri diritti.

 

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